Sola con te in un futuro Aprile

Leggere è un po' come vivere una storia che non ci appartiene, ma ci avvolge al punto da farci sentire parte di essa.
Questo è quello che ho provato leggendo il libro di Margherita Asta e Michela Gargiulo, Sola con te in un futuro Aprile (ed. Fandango).
Ho sentito le  emozioni di Margherita entrare nelle mie, confondersi con esse, sono stata con lei bambina, figlia, donna. Ho sentito dentro di me i brividi di una madre la cui vita esplode, in un attimo, insieme a quella dei propri piccoli di appena sei anni. Sono stata con Margherita adolescente indignata, alla ricerca costante di una verità che, capricciosa e dispettosa, non permetteva di essere rivelata. 
Margherita Asta, il 2 Aprile del 1985, è una bambina di appena dieci anni. Al ritorno da una banalissima giornata di scuola, è costretta a scontrarsi con una realtà difficile da comprendere, impossibile da accettare.

« ... "C'é stato un incidente"
[...]
Il tempo della mia mamma è finito, è finito il tempo dei miei fratelli. E in questo istante è finito per sempre il tempo di me bambina. Con questo dolore troppo grande che non ha avuto rispetto per i miei dieci anni» (pag. 28)

Un incidente...
Col tempo scoprirà che l'utilitaria della madre (in cui avrebbe dovuto esserci anche lei), per un'assurda concidenza, si era trovata nel mezzo tra un'autobomba carica di tritolo e la macchina di un giudice, reale bersaglio di un maldestro attentato di mafia.
Il nome di quel giudice sopravvissuto per sbaglio si incide nella memoria di Margherita come un marchio a fuoco: Carlo Palermo, colpevole della morte della madre e dei suoi fratelli, vivo al posto loro.
Margherita però non si accontenta di questa mezza verità, a lei non basta addossare la colpa a un uomo di cui conosce solo il nome. Lei vuole sapere, conoscere, dare nomi e volti ai veri responsabili della tragedia. Il suo «diario non è gonfio di stikers e adesivi scintillanti. [...] ... è una cartellina azzura» in cui custodisce «le pagine dei giornali, le più importanti, dopo averli letti di nascosto sotto il banco o durante l'intervallo» (pag. 163).
In questo modo riesce a ricostruire i fatti, a dare un volto a quel giudice sconosciuto, a ricostruirne la storia, così inaspettamente e assurdamente intrecciata con la sua; col tempo comprenderà che l'uomo che aveva sempre considerato colpevole, è esso stesso vittima della mafia: con la sua vita blindata irrispettosa delle piccole libertà quotidiane, con la solitudine della separazione che lo ha costretto a perdersi l'infanzia delle  figlie, con i contraccolpi emotivi e fisici di quell'esplosione, che lo ha reso, suo malgrado, ladro di vite innocenti.
Il romanzo rende con molta chiarezza questo intreccio di vite, che a causa di  una tragica fatalità, sono costrette a incontrarsi nel dolore e nella rabbia, ma anche nella costruzione di un obiettivo comune: la ricerca della verità e il desiderio di rendere giustizia a tre vite innocenti.
Giustizia che troverà compimento solo a distanza di quasi vent'anni, con un processo nel quale Margherita accetta di costituirsi parte civile, affiancata dall'avvocato Giuseppe Gandolfo, allora coordinatore provinciale, per Trapani, di Libera, associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti nel 1995.
Questo incontro segna un'altra grande svolta nella vita di Margherita che accetta di collaborare attivamente con l'associazione, rendendo testimonianza della propria storia in ogni parte d'Italia.

«...ho capito che  sono rimasta viva anche per raccontare la storia di mia madre e i miei fratelli e che in questo modo posso dare un senso alla loro morte. Mi ha fatto capire che posso smettere di essere una vittima per diventare una testimone di giustizia»(pag. 216)

Ma in realtà vittima, Margherita, non lo è mai stata veramente, non ha mai concesso alle sofferenze della sua vita di annientarla. Di questa donna mi ha colpito soprattutto la capacità di trasformare ogni ostacolo in un punto da cui ripartire, ogni sofferenza in ulteriore motivo per mostrare coraggio. Lo ha dimostrato accogliendo nella sua vita la nuova compagna del padre, nella quale ha visto, sin dall'inizio, una risorsa, piuttosto che uno scandalo. Lo ha dimostrato spedendosi per rimettere in sesto le finanze della famiglia dopo la morte, anch'essa prematura, del padre. Lo dimostra ancora adesso, continuando a lottare per se e altre vittime di mafia, attraverso Libera.
Ai ragazzi a cui ho letto questo testo per Libriamoci, ho chiesto di portare con sè questi due messaggi che a mio parere il libro riesce a trasmettere.
Il primo è che in ogni vita, anche la più complessa e sofferta, c'è sempre spazio per la speranza che richiede solo occhi capaci di scorgerne i germogli.
Il secondo, di cui tutti dovremmo fare tesoro, è  che nessuno può permettersi di dire "La mafia non mi riguarda", perchè il suo male agisce nel territorio in cui viviamo, irrispettoso della libertà e della vita di persone innocenti.  La mafia, inoltre, ci riguarda in quanto cittadini, in possesso di una  grande responsabilità: seminare germogli di legalità nel rispetto delle norme e, soprattuto, della dignità umana.

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