La mafia uccide solo d'estate

https://likemimagazine.com/2013/12/03/pif-dalla-tv-al-cinema/
Foto tratta da  LikeMiMagazine
Ieri sera, per la prima volta, sono riuscita a vedere per intero un film che avevo sempre interrotto a metà: La mafia uccide solo d'estate, scritto, diretto e interpretato da Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif).
Il film, ambientato nel ventennio 1970/1990, racconta in prima persona la storia di Arturo, un ragazzino palermitano la cui vita, sin dalla nascita, si intreccia inconsapelvomente con quella della mafia, padrona indiscussa dela cronaca nera siciliana di quegli anni. 
La sua storia è quella di centinaia, migliaia di ragazzini, ignari personaggi di una sceneggiatura macabra, intinta di sangue e odio, retta da protagonisti in grado di guidare l'azione solo attraverso l'intimidazione e la violenza.
Scrivo di questo film perchè mi ha colpito in maniera inaspettata, è riuscito a farmi piangere fino quasi a singhiozzare, pur essendo amaramente ironico, pur utilizzando un registro apparentemente comico.
Ho pianto di dolore, ma molto più di rabbia, conosciuta solo a chi, come me, vive questa Sicilia devastata dalla mafia, che prolifera spesso non solo negli atti gravi e incresciosi che fanno notizia, ma anche negli atteggiamenti, nell'altezzosità, nei modo di fare e di essere di alcuni. 
Alcuni ... che agli occhi del mondo spesso diventano tutti, annullando la dignità e il valore umano e morale della gente siciliana. 
La mia rabbia e il mio pianto sono esplosi infatti di fronte a una scena in cui si intrecciano magistralmente immagini reali di repertorio, con quadri della finzione cinematografica.
Funerale di Borsellino: la gente di Palermo piange, urla e protesta contro le forze dell'ordine che tentano di tenerla fuori dalla cerimonia funebre, per questioni di sicurezza...
Mi ha colpito quella gente che non accetta di essere tenuta fuori, che pretende di entrare per sfogare quel dolore che le appartiene, di cui è non solo spettatrice ma vittima principale. La gente scavalca i muri sfidando i cancelli chiusi, perchè vuole onorare la vita (prima che la morte) di quegli uomini, eroi senza poteri soprannaturali che hanno fatto della propria professione una missione, che hanno convissuto quotidianamente con la paura perchè questa non rovinasse la vita di tutti gli altri.
Quella gente siamo noi, figli di una terra che va difesa e amata, anche a costo di scalvacare i muri dell'arroganza e del falso potere, dell'illegalità e dell'accondiscendenza.
Il film si conclude infine con una scena altrettanto eloquente e significativa: il ragazzino, cresciuto e diventato a  sua volta padre, mostra al proprio figlio i nomi e lo storie di quegli uomini presentandoglieli, senza troppi giri di parole, come straordinari esempi di eroismo. 
E mi piace pensare a questa scena come ad  un invito rivolto a tutti i genitori, gli insegnanti, le istituzioni educative, affinchè facciano dell'educazione alla legalità l'arma principale contro  la mafia che, purtroppo, continua a uccidere in tutte le stagioni.

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