Falcone e Borsellino

 
23 Maggio 1992.
Ero una ragazzina di 14 anni, mi trovavo in casa di mia zia, piena di parenti venuti da fuori per festeggiare, l'indomani, la Prima Comunione di mio cugino.
L'aria festosa fu stravolta da una notizia che da allora avremmo sentito ripetutamente e rivisto mille volte in immagini di repertorio tragiche e confuse.
Non capivo bene di cosa si trattasse, ma lo avrei appreso poco dopo e mi sarebbe rimasto inciso nella memoria, per sempre: il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e alla loro scorta erano esplosi, sulla strada per Capaci, lasciando voragini nell'asfalto e nel cuore di familiari e amici e paura e punti di domanda nella mente di tutta la gente.
Un attentato ben riuscito, un colpo andato a segno, un giudice scomodo in meno ad intralciare gli affari della Cosa che mi viene difficile e insopportabile definire "nostra".
19 luglio, due mesi dopo.
In via D'Amelio esplosero altre vite, quella dell'amico e collega di Falcone, Paolo Borsellino, e quelle degli uomini della sua scorta.
Esplosero le loro vite e con esse venne bruciata parte immensa della speranza dei siciliani, di quelli che non  amavano l'ingiustizia, di quelli che, nonostante tutto e nonostante tutti, avrebbero continuato e continuano ancora ad amare la propria terra devastata.
Quei morti erano eroi, senza super poteri se non quello di credere nella giustizia e nella legalità al punto da combattere per essa affrontando ogni paura e convivendo quotidianamente con la consapevolezza di essere vittime già scelte per essere sacrificate al dio della prepotenza e del malaffare.
Raiuno ieri sera  ha reso a questi eroi un bellissimo omaggio con una trasmissione condotta da Fabio Fazio, Pif e Roberto Saviano, per la regia di Stefano Vicario. La trasmissione  non si è semplicemente svolta a Palermo, ma ha fatto parlare e gridare l'intera Palermo, i luoghi della quotidianità di quei giudici, i teatri della loro lotta alla criminalità, le strade bruciate dalla loro morte.
Ogni parola, ogni gesto, ogni luogo mi ha riempito di emozione e rabbia, di ammirazione e incredulità per la tenacia e il coraggio di chi ha tentato di difendere la nostra libertà fino alla fine.
Tra tutte le cose che ho visto e sentito, mi ha colpito un episodio riportato da Pif, che raccontava di signore indignate per la strada occupata in occasione del diciassettesimo anniversario della morte di Borsellino, come se la memoria non avesse alcun senso se non quello di intralciare il loro probabile pomeriggio di shopping. A quelle signore, a distanza di anni, Pif ha rivolto un ammonimento vero e amaro: il giorno in cui nessuno vorrà rendere onore e memoria alle vittime degli attentati mafiosi potremo davvero dire che la mafia ha vinto la sua battaglia contro gente che ha preferito il silenzio e l'indifferenza, l'oblio e l'ignoranza.
E l'ignoranza, lo sappiamo bene, è il principale humus per la proliferazione del germe mafioso, che può essere combattuto, come diceva spesso Borsellino, solo con un lavoro di intensa prevenzione culturale che va fatta a partire dai piccoli a cui, anche con semplici parole, la mafia va raccontata e spiegata perché possano conoscerla e provarne disgusto.
Ai miei figli, che in questi giorni hanno reclamato di fronte a un telegiornale che parlava soprattutto di questo, a loro che pretendevano di cambiare canale per non turbarsi di fronte alle scene atroci degli attentati ho detto che invece devono cominciare a guardare, per poter gridare in ogni momento che la mafia fa schifo, per alimentare quel disgusto che è il primo, indispensabile, motore della ribellione a un mostro che può e deve essere combattuto.

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