Papà Samuele: Finalmente a casa!


Finalmente, dopo quattro giorni di ricovero, si torna a casa!
Questa volta, però, siamo in tre; non siamo più Elisa e Samuele, ma papà Samuele, mamma Elisa e il piccolo Luca.
I giorni passati in ospedale sono stati davvero stressanti per me, una continua spola: casa-ospedale, ospedale-farmacia, casa-negozi per la prima infanzia e poi di nuovo casa-ospedale, farmacia-casa…..
In ospedale amici e parenti riempiono le ore riservate alle visite, e questo costringe i neo papà a rimanere spesso in  corridoio per dare spazio alla gente che entra in camera a vedere il pargoletto e tempestare di domande la mammina. In quei momenti fremi nell’attesa che la camera si svuoti al più presto della folla in visita per passare quegli ultimi minuti un po’ da solo con tua moglie e tuo figlio, almeno fino a quando l’infermiera, molto gentilmente… ti butterà fuori.
Sei costretto a condividere con altri la stanza e questo moltiplica il numero di amici e parenti, al punto che spesso, nella confusione più totale, ti capita ricevere auguri sinceri “per questa bella bambina” ma ti trovi costretto a precisare che il tuo è un maschietto: «Bambino… forse hai sbagliato culla, comunque grazie!».
Tutto questo non fa che aumentare un unico, grande, desiderio: tornare a casa tua con la tuanuova famiglia” chiudendo il resto fuori.
Una volta a casa, poi, realizzi concretamente che è tutto vero: finalmente ti siedi sul divano con tua moglie, tieni in braccio il piccolo Luca, e i suoi sguardi, i suoi vagiti, le tue mani che lo accarezzano, valgono più di mille parole. 
A ricordare quel momento mi viene ancora la pelle d’oca…
Ok, adesso basta sentimentalismi…… voglio ritornare al reale motivo che mi ha spinto a scrivere di me in questo blog: informare in tempo utile i papà di quello che li aspetta, impedendo loro di compiere errori di valutazione e di formulare giudizi affrettati.
Tanto per cominciare, rientro a casa significa notti insonni: ignaro del fatto che il sonno potrebbe presto diventare un lontano ricordo, le prime notti non fai altro che guardare tuo figlio per controllare se è tutto a posto, adori toccargli la manina e vedere che reagisce al contatto, cerchi di cogliere nel silenzio il suo respiro. Ma il respiro dei neonati, il più delle volte, è talmente leggero da essere impercettibile e allora, in preda all’ansia, cerchi di svegliarlo, senza sapere che questo potrebbe ritorcersi contro di te.
La prima notte trascorre così: tu, fresco e volenteroso neo papà, metti in mostra tutte le tue doti, la pazienza, la dolcezza, la prontezza a intervenire per lasciare che tua moglie riposi tra una poppata e l’altra. Pieno di entusiasmo cambi il pannollino, tieni in braccio il piccolo cantando dolci ninne nanne fino a quando non riprende sonno, gli massaggi il pancino sino a quando le simpatiche coliche finiscono di farlo soffrire. In breve:  ti senti un “ eroe”.
La mattina, mentre fai colazione con tua moglie, affermi con orgoglio: «Amore mio, stanotte sono stato veramente bravo, mi do un bel 9 come papà». Tua moglie, allora, per non deluderti ti sorride e ti concede una carezza. Al momento non ti chiedi cosa ci sia dietro quella carezza; solo dopo qualche giorno (e qualche notte!) ti rendi conto del suo vero significato e capisci che tua moglie, in realtà, voleva dirti: «Amore caro, mi sa che ancora non hai capito che cosa ti aspetta!».
Dopo le prime notti passate a concedersi voti che si aggirano mediamente intorno all’otto ti accorgi che qualcosa comincia a cambiare: dopo tante carezze, passeggiate, massaggini e ninne nanne, ti accorgi che la lucidità  incomincia ad abbandonarti, la stanchezza prende il sopravvento e quelle ninne nanne si arricchiscono di volta in volta di nuovi arrangiamenti, di nuovi ritmi: non più dolci nenie melodiche e rilassanti si trasformano in ma canti sofferti riconducibili al rock più duro e tosto.
Ed è così che la mattina ti trovi nuovamente a fare colazione con tua moglie e non ti senti più quel grande eroe, e aspetti prima di darti nuovamente un voto (che sicuramente sarà un bel  2). Tua moglie a quel punto ti dona una carezza carica di nuovi significati, e tu, come Massimo Troisi in Non ci resta che piangere,  previeni ogni suo commento dicendo: «Si si ho capito!»

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